Identità e invecchiamento
Dott.ssa Cravetto Maria – Psicologa – Iscrizione Ordine degli Psicologi del Piemonte N.8896
Dott.ssa Volo Valentina – Psicologa – Iscrizione Ordine degli Psicologi della Lombardia N.23369
Pubblicazione – ANNO 6 – SETTEMBRE 2023 – ISSN: 2612/4947
UNA POPOLAZIONE CHE INVECCHIA
Cosa significa invecchiare? Cosa è la vecchiaia o l’anzianità? Chi includiamo tra le persone considerate anziane e perché? Come viene visto l’invecchiamento nella cultura Occidentale?
Queste sono solo alcune delle domande cui si cercherà di dare risposta in questo breve articolo di divulgazione scientifica. Secondo la definizione medica, con il termine invecchiamento si indica il progressivo e generalizzato decremento funzionale che conduce alla perdita della risposta adattativa allo stress e ad un aumento del rischio di malattie correlate all’età, quindi un più lento recupero dopo uno sforzo e maggior fragilità. Come noto e come mostrano le statistiche ISTAT, l’Italia è un paese sempre più vecchio: nel 2021 l’età media si è innalzata di quasi tre anni rispetto al 2011 ( siamo passati da 43 a 46 anni).
Nel 2022 continua ad aumentare l’indice di vecchiaia, raggiungendo quota 187.6 anziani ogni 100 giovani e gli ultracentenari hanno raggiunto nel 2022 il più alto livello storico, sfiorando la soglia delle 22mila unità, oltre 2mila in più rispetto all’anno precedente. Appare pertanto evidente come il numero di persone che in Italia godono della possibilità di invecchiare sia sempre più numeroso e questo sembra possibile grazie al miglioramento delle condizioni di vita, dovuto a una serie di concause in gran parte riconducibili al progresso tecnico-scientifico.
IPOTESI DEFICITARIA DELL’INVECCHIAMENTO: UN MODELLO SUPERATO
Il dibattito sulla vecchiaia e sull’invecchiamento è stato a lungo inquinato dalla cosiddetta “ipotesi deficitaria”, secondo cui l’età avanzata è essenzialmente caratterizzata dall’impegno ad accettare le perdite in tutti gli ambiti di esperienza, ad esempio fra le persone care, dal declino fisico e mentale e dalla necessità di adattarsi a nuove situazioni di vita.
Nella cultura occidentale infatti, l’invecchiamento è spesso visto a livello biologico come declino delle funzioni corporee (pelle rugosa, capelli grigi etc) e indebolimento della salute: si assiste cioè alla progressiva diminuzione della capacità di un organismo di rispondere a stress ambientali e alla sua graduale maggiore vulnerabilità e suscettibilità alle malattie; a livello sociologico come uscita delle persone anziane dalla produttività, cioè dai ritmi e dagli incontri dati dal mondo del lavoro; a livello psicologico c’è chi considera questa parte della vita come momento privilegiato per affrontare un’ulteriore crescita importante e chi invece lo considera un momento di solitudine, tristezza e preparazione alla morte.
Birren e Schaie (1996) iniziano a cambiare tale prospettiva, operando una separazione concettuale tra salute e malattia, introducendo pertanto il concetto di “invecchiamento primario”: questo viene considerato fisiologico e implica modificazioni intrinseche del processo di invecchiamento, inevitabili e generalmente irreversibili. Interessa gran parte della popolazione, comporta modificazioni biologiche e psicologiche senza che sia presente una particolare patologia.
Si parla invece di “invecchiamento secondario” quando, al quadro dell’invecchiamento primario si aggiungono alcune malattie croniche. È ricorrente e diffuso ritenere che esso sia caratterizzato dalla presenza di una malattia ma invecchiamento e malattia, pur avendo delle relazioni, sono processi separati tra loro.
Infine vi è l’“invecchiamento terziario” che sarebbe connesso, secondo gli autori, al declino terminale: si tratta di un deterioramento significativo rispetto ai livelli di performance precedenti, ovvero un declino di aspetti psichici sensibili e non sensibili all’età. Vengono compresi una serie di processi deteriorativi che si verificano precipitosamente e pervasivamente nei mesi che precedono la morte.
Come si può notare, questo sguardo si fondava su conoscenze scientifiche ma, riferendosi unicamente al modello medico-biologico, rimandava a un’immagine di invecchiamento quasi unicamente associata alla malattia fisica e psichica. Purtroppo, ancora oggi risentiamo di questo approccio e lo viviamo in maniera talvolta subdola sperimentando quello che nel 1969 Robert N. Butler ha definito come “Ageismo”, una sorta di discriminazione contro gli anziani. Tali forme di pregiudizio e discriminazione, ai danni di un individuo, in ragione della sua età, purtroppo appaiono tutt’oggi presenti nella sanità, nei rapporti di lavoro, nelle relazioni sociali, nel linguaggio e nei mass-media. Fortunatamente, con la moderna psicogerontologia l’interesse per la vecchiaia sembra tornato a porre enfasi sullo sviluppo e non soltanto allo studio dei processi patologici.
DECLINO O SVILUPPO?
Il concetto di invecchiamento si trasforma in un processo attivo riguardante ciascun individuo che cerca di adattarsi ai propri cambiamenti fisici, emotivi e intellettuali, nonché ai cambiamenti sociali e ambientali. Lo sviluppo non è predeterminato ma è il risultato dell’interazione tra l’individuo che sta cambiando e il contesto che cambia a sua volta.
Si sta quindi affermando un’altra visione, quella di continuità dello sviluppo lungo tutto l’arco della vita, riconoscendo la specificità dell’evoluzione individuale e l’importanza del contesto. Ci si focalizza non tanto sulle differenze tra gli individui dovute all’età (age differences) ma sui cambiamenti che si verificano all’interno dei singoli individui nel contesto del loro ambiente fisico e sociale (age changes).
L’ambiente, riprendendo la definizione del Comitato Nazionale per la Bioetica (2006) è una nozione meta-biologica, nella quale interagiscono dinamiche psicologiche, politiche, sociali e storico culturali. Quindi la vecchiaia diventa in questo senso espressione di una biologia specifica in un ambiente specifico.
Inoltre, l’interesse nei confronti delle persone anziane non si limita più solamente agli aspetti cognitivi dello sviluppo ma si rivolge anche agli aspetti emozionali, di socializzazione e di personalità (Castelli e Sbattella 2008). Vengono infatti distinti vari tipi di età: l’età cronologica, ossia il numero degli anni che un individuo ha vissuto; l’età biologica, che riguarda lo stato del corpo; l’età funzionale, ha a che fare con il tipo di vita che un individuo conduce, il lavoro che fa, le responsabilità; l’età sociale, che fa riferimento al come gli individui vengono accettati dagli altri e dipende anche dal gruppo età nel quale sono inseriti; ed infine l’età psicologica, ossia quella che la persona sente di avere. Quest’ultima può influenzare di molto la percezione dell’età biologica. Anche la velocità di invecchiamento sembra variare ed è il risultato del patrimonio genetico e delle tracce del percorso di vita individuale e collettivo (compreso lo stile di vita). Tra i fattori che rallentano la percezione del proprio invecchiamento troviamo il senso dell’umorismo, le relazioni stabili e la capacità di mantenere amicizie intime, la sensazione di non mancare di mezzi finanziari, il piacere nel trascorrere il tempo libero, una soddisfacente vita sessuale, la capacità di reagire creativamente ai cambiamenti e la capacità di esprimere le proprie emozioni.Viceversa, tra i fattori che accelerano la percezione di invecchiamento, sembrano avere un impatto significativo la solitudine, la depressione, l’avere preoccupazioni costanti ed eccessive, l’esperire disperazione, i rimpianti, l’ipercriticismo, l’irritabilità, i problemi finanziari e l’incapacità di esprimere le emozioni.
In ultima istanza possiamo dunque affermare che non esista un invecchiamento univoco: ognuno avrà il suo modo di invecchiare in base al suo stile di vita, salute e genetica (eterocronia).
Questa conclusione si innesta perfettamente nella prospettiva del “life span” proposta da Baltes (1987) che definisce lo sviluppo come “un processo che dura tutta la vita” che pertanto comporta, anche in età
avanzata, la possibilità di accrescere la propria esperienza con acquisizioni cumulative ed innovative, apprendendo nuove competenze. In questo processo risulta fondamentale la plasticità intra individuale che permette di adattare le proprie risorse fisiche e psichiche alle condizioni dell’ambiente esterno.
Ogni persona anziana avrà quindi una modalità specifica di interagire con gli esiti del suo sviluppo.
UNA VISIONE COSTRUTTIVISTA: IDENTITA’ E INVECCHIAMENTO
In questo articolo si vuole porre l’attenzione su una visione costruttivista dell’invecchiamento, ossia la domanda che ci poniamo è la seguente: in che modo una specifica persona in questo momento particolare della sua vita sta costruendo e sviluppando la propria identità? L’identità viene considerata come punto di integrazione tra processi cognitivi, emotivi, somatici che portano a una narrazione coerente dell’esperienza.
Il funzionamento soggettivo di ogni persona che sta invecchiando nel suo contesto socio-culturale è connesso alla sua identità sociale, nel fluire di questo divenire della storia di ogni persona che invecchia, gli aspetti identitari personali, unici e irripetibili funzionano come filtro di lettura del proprio essere nel mondo, orientando le scelte, da quelle quotidiane a quelle esistenziali.
A sua volta, l’aspetto identitario individuale si trasforma continuamente, aderendo a norme collettive oppure distanziandosene. Viene così garantita la possibilità di cambiare rimanendo sempre se stessi, grazie alla coerenza interna data dal filtro di lettura individuale (Pezzati, 2014).
La proposta è quindi quella di considerare l’invecchiamento come un processo di costruzione dell’identità attraverso cui filtrare e dare un senso coerente agli accadimenti, soprattutto relazionali ed emotivi. L’identità secondo questa prospettiva è un percorso in continuo divenire che non si raggiunge definitivamente con l’età adulta ma è in costante evoluzione in funzione delle caratteristiche individuali e del mondo socio-culturale.
L’identità rappresenta quindi l’organizzazione del benessere personale, è l’integrazione dei processi cognitivi ed emotivi che consentono una narrazione dell’invecchiare e illustra come una persona vive, si pensa e si sente anziana in equilibrio tra dimensione biologica e culturale. Secondo la visione costruttivista, l’invecchiamento viene considerato quindi come un processo, mai stabile, che permette ad una persona di decantarsi sempre di più per far emergere il senso di sé più profondo e vero.
L’invecchiamento è considerato come una parte della costruzione soggettiva, unica, irripetibile del proprio processo vitale. Il padre fondatore del post-razionalismo, Vittorio Guidano (1987), affermava come il senso di sé e della propria identità si sviluppi all’interno della reciprocità affettiva delle relazioni significative in cui si costruiscono tonalità emotive, ovvero griglie che guidano il proprio agire nel mondo.
Coerentemente con quanto appena affermato, sono stati numerosi gli studi che hanno sottolineato l’importanza del ruolo dell’attaccamento anche nel processo di adattamento all’invecchiamento. Con attaccamento si intende ogni forma comportamentale che appare in una persona che riesce ad ottenere o a mantenere la vicinanza a un individuo preferito (Bowlby 1969).
Infatti accanto ai tradizionali fattori che influenzano il funzionamento psichico nella vecchiaia, viene attualmente attribuito un ruolo significativo alla capacità di chiedere sostegno e vicinanza e alla conseguente sicurezza percepita.
Dunque, si osserva una correlazione tra le prime esperienze infantili e il benessere fisico e psichico in età senile. Le persone anziane che riferiscono cure inadeguate nell’infanzia presentano generalmente una bassa stima di sé e alti livelli di ansietà, depressione e solitudine, specie in chi ha già perso il partner.
CAMBIARE RIMANENDO SE STESSI
In conclusione, secondo tale prospettiva, il benessere nella vecchiaia non è un’utopia.
Indubbiamente i cambiamenti organici e psichici esistono e non sono facili da integrare all’interno della continuità del proprio divenire, ma la negatività che sembra esservi indissolubilmente legata, dentro uno sguardo che vede l’essere umano costruttore di significati, può assumere valenze rappresentazionali completamente diverse.
Può la persona anziana leggersi e raccontare le trasformazioni che vive agli altri in termini di maturazione e crescita?
L’identità narrata non nasce dalla sola mente dell’individuo isolato, ma è costruita sulle trame possibili date dall’appartenenza biologica, dentro i canali dell’appartenenza culturale e valoriale e dentro il rapporto affettivo relazionale delle persone significative.
In questo senso una persona anziana sperimenta benessere se è egosintonica con ciò che gli accade.
Le caratteristiche soggettive declinate in un rapporto continuo e dialettico tra individuo e ambiente permettono di affrontare e integrare dentro la continuità del proprio divenire i numerosi eventi di vita, felici e meno, le rotture esperienziali e le sofferenze che nella vecchiaia si presentano più numerose e concentrate nel tempo rispetto ad altre fasi di vita.
Secondo Bruner (1992) esistono delle dimensioni con cui la persona anziana elabora l’esperienza attraverso una trama narrativa: la flessibilità, ossia la capacità di modificare le proprie spiegazioni riguardo ad una esperienza perturbante in relazione all’emergere di emozioni discrepanti e inaspettate; l’astrazione, ossia la capacità di elaborare e mantenere staccato dal contesto percettivo immediato le proprie esperienze attribuendo loro significati di ordine generale; la generatività, ossia la capacità di produrre nuove chiavi di lettura per rendere consistenti le proprie esperienze, una volta riconosciuti gli aspetti discrepanti; l’integrazione, ossia la capacità di collocare un quadro coerente sia tra gli ingredienti che appartengono a un singolo evento sia a eventi accaduti in epoche diverse e, da ultimo, la metacognizione, ossia la capacità di distinguere tra esperienza immediata e la spiegazione che un individuo se ne dà. L’invecchiamento è pertanto un processo altamente individuale nel quale la propria storia e la modalità con cui si è costruita la visione del mondo influenzano l’invecchiare stesso con la conseguente possibilità, che non deve essere mai negata da stereotipi e pregiudizi, di esperire benessere e buona qualità di vita (Pezzati 2002).
RIFERIMENTI
Bara B.G., Chiambretto P. (2000), La terza età delle parole, Psicologia Contemporanea.
Birren J. e Schaie K. (1996), Handbook of Psychology of Aging, Academic Press, San Diego.
Castelli C.; Sbattella F. (2016), Psicologia del ciclo della vita; FrancoAngeli.
Erikson E.H. (1975), Infanzia e società, Armando Roma.
Moser F., Pezzati R.,Plozza B.L. (2002); Un’età da abitare, identità e narrazione nell’anziano; Bollati Boringhieri editore.
Pezzati R. et al. (2018), Programma emotivo anziani, Erickson.
Spagnoli A. (1995), “…e divento sempre più vecchio”, Bollati Boringhieri, Torino.
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