Persone, non solo corpi

Dott.ssa Ilaria Loi

Psicologa e Psicoterapeuta, iscritta all’Ordine degli Psicologi della Lombardia con n.20211

Fino ai tre anni sappiamo autoregolarci nell’assunzione degli alimenti di cui necessitiamo, ma perdiamo questa capacità crescendo, per la maggiore rilevanza data a socializzazione e influenze esterne.

Viviamo in un contesto focalizzato sulla prestazione, che richiede risposte immediate e porta all’emergere di un bisogno di perfezione, figlio di una società basata principalmente su canali visivi, che danno risalto all’ “apparire bene”. 

Con l’emergenza Covid-19, si è stati testimoni e protagonisti di un’esacerbazione del bisogno umano di relazioni sociali, affidandosi quasi esclusivamente a canali digitali per poter mantenere contatto con l’esterno, ma divenendo sempre più legati al visivo. Essere e sentirsi parte di un gruppo rappresentano una vera e propria necessità antropologica, così fondamentale da incidere sul benessere psicofisico. In quest’ottica, il “sistema” si delinea come un fil rouge necessario per potersi riconoscere parte della società, ma quando la società risulta così fragile come ora, tutto vacilla e sembra poter finire da un momento all’altro, facendo sentire smarriti.

 

La “soluzione” per sopravvivere e preservarsi diviene allora quella di aggrapparsi al concreto e tangibile, per guadagnare un’illusione di controllo in mancanza di certezze. Ed è così che il cibo diventa l’alleato (e il nemico) per poter raggiungere proprio questo ideale di immagine corporea perfetta: sembrareperfetti, sperando di essere felici.

Inoltre, viene meno anche la capacità di tollerare la frustrazione, surclassata dall’impellenza di lenire un sentito scomodo: il cibo, sempre a disposizione, permette così di spostare l’attenzione dall’emozione, immateriale e impalpabile, al concreto, che sembra più gestibile.

Nonostante la sensibilizzazione generale relativa ai Disturbi del comportamento alimentare, in luce di statistiche sempre più allarmanti ed esordi sempre più precoci, ancora poco si parla della più generale gestione emotiva attraverso il cibo, che permetterebbe un’ottica preventiva e non solo reattiva.

Per quanto non esista un modo giusto o sbagliato di approcciarsi al cibo, diversi sono i gradi di consapevolezza possibili. Si stima che il 50-60% della popolazione manifesti disfunzioni nel comportamento alimentare, esito di dis-regolazioni emotive legate al non saper riconoscere i vissuti interni, che vengono interpretati e gestiti come fame.

Non a caso, solo il 3% della popolazione, dopo un percorso di dimagrimento, mantiene quattro anni dopo l’effettiva perdita di peso.

Culturalmente, poi, si è incastrati tra Grassofobia e Body-Positivity, in una contraddizione fonte di senso di colpa e inadeguatezza. Queste emozioni, risultando ingestibili, conducono a circoli viziosi tra restrizioni cognitive-comportamentali e momenti di sovra-alimentazione.

 

A questo punto, può forse venire spontaneo demonizzare sia la società sia i mezzi di comunicazione attuali.

Ma, per quanto sia in atto una sempre maggiore sensibilizzazione di queste questioni, occorre anche ricordare che la società è ciò che contestualizza le nostre vite, ma senza definirle in toto, così come una cornice dice poco del quadro contenuto.

Gli standard esistono, così come le foto modificate per allettare i potenziali acquirenti, eppure, l’obiettivo non può essere l’eliminazione di tutto ciò. Basterebbe forse prendere consapevolezza dell’effetto che su ognuno di noi hanno le trame sociali.

Ciò che potrebbe funzionare, quindi, è ripartire da sé, prendendosi spazio e tempo per conoscersi e familiarizzare con le emozioni sentite, discernendo tra vissuti emotivi e modalità compensative, per riportare anche il ricorso al cibo a mero nutrimento, depurandolo da significati consolatori.

Questo cambio di prospettiva richiede sicuramente impegno e fatica, poiché implica l’idea di farsi protagonisti della propria vita e responsabili del proprio benessere.

Molti, nella frenesia della quotidianità, rifuggono tale sforzo e scelgono, una vita così così.

Ascoltarsi, imparare cosa è meglio per sé, rappresenta sì un atto di coraggio, ma forse anche l’unico modo per decifrare la mappa alla volta del proprio benessere.

Parlando di rapporto con il cibo e dell’utilizzo dello stesso come mezzo di gestione emotiva, una proposta estremamente efficace può essere quella del mindful eating, una tecnica di mindfulness applicata all’alimentazione, per renderla più consapevole e appagante, Imparando in parallelo a gestire le emozioni senza ricorrere al cibo.

Non da ultimo, il movimento del Body-positivity, per quanto nato con ideali di accettazione di ogni genere e forma fisica, contribuisce oggigiorno alle contraddizioni della società, poiché suggerisce di apprezzare il proprio corpo nonostante i difetti, ma in accordo con l’idea stereotipata che “magro è bello e di successo”.

Originarinamente, il movimento aveva l’obiettivo di rendere consapevoli dell’influenza che l’immagine corporea ha sul benessere personale. In tal senso, diversi studi hanno dimostrato che il come ci si vede impatta sulla salute mentale, sull’idea che si ha di sé e su come ci si tratta.

Questo, però, non implica il doversi vedere sempre e comunque bene e accettare ad ogni costo, poiché, quando qualcosa non piace, sentirsi in obbligo di farselo piacere, porta comunque a sintomi di inadeguatezza, colpa e vergogna. Per stare bene con Sé, sarebbe bene priorizzarsi, senza mentire a se stessi per dover “essere positivi”. In questo senso, accettare tutti i propri vissuti, senza negare quelli “brutti”, permetterebbe di viversi appieno. Si inizia così a parlare di Body-Neutrality, come alternativa al Body-Positivity, per sottolineare che focalizzarsi su un solo aspetto di sé per nutrire autostima e soddisfazione personale, è controproducente, finanche dannoso.

L’invito è quello di lavorare affinché taglia e forma corporea non siano i soli elementi per stabilire il proprio valore, costruendo un’immagine multi-sfaccettata della propria persona, per percepirsi integralmente come persone di valore e meritevoli anche senza bisogno che tutto sia in linea con gli standard della società in cui ci si ritrova a vivere.

 

 

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