Cancro e difficoltà economiche dei pazienti: arriva un questionario italiano per misurare la “tossicità finanziaria” provocata dalla malattia e dai trattamenti
Una diagnosi di cancro e i successivi trattamenti possono avere un impatto sulla situazione economica dei pazienti? Se sì, quanto può essere pesante e quali sono i fattori che lo determinano? E viceversa: la situazione economica di un paziente alla diagnosi incide sulla qualità della sua vita durante i trattamenti e sulla sua possibilità di sopravvivenza? Sono temi sui quali si è cominciato a ragionare una decina di anni fa negli Stati Uniti, un Paese in cui il servizio sanitario è basato su assicurazioni private e i pazienti oncologici devono coprire di tasca propria parte del costo dei trattamenti, peraltro sempre più onerosi. “I risultati raccolti nelle prime indagini su questi impatti, che gli americani hanno definito nel complesso ‘tossicità finanziaria’, non lasciavano dubbi: le difficoltà finanziarie dei pazienti ne peggioravano sia la qualità della vita sia la speranza di sopravvivenza” spiega Francesco Perrone, direttore della Struttura complessa di sperimentazioni cliniche dell’Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli. Da alcuni anni, Perrone coordina uno studio ampiamente sostenuto da Fondazione AIRC, con l’obiettivo di mettere a punto uno strumento per misurare la tossicità finanziaria in un Paese come l’Italia, che a differenza degli Usa ha un servizio sanitario pubblico, in grado di coprire gran parte delle spese per i trattamenti. Lo strumento ‒ un questionario contenente16 domande e chiamato PROFFIT ‒ è stato ora presentato in dettaglio in un articolo pubblicato sulla rivista BMJ Open.
“Non pensavamo che anche da noi esistesse questo fenomeno, proprio perché il nostro servizio sanitario è pubblico. Quando sono cominciati ad arrivare i dati americani, però, abbiamo deciso di studiare meglio la situazione, a partire da una domanda presente in uno dei questionari che sottoponevamo ai pazienti partecipanti a varie sperimentazioni cliniche coordinate dal Pascale di Napoli” ricorda Perrone. Il questionario si limitava a chiedere se nell’ultima settimana la malattia o la cura avessero provocato difficoltà economiche. L’analisi a posteriori delle risposte di circa 3.700 pazienti ha permesso di scoprire che l’Italia non era immune al problema. “Come riportato nei risultati, pubblicati già nel 2016 di una prima parte dello studio, abbiamo osservato che i pazienti che avevano dichiarato un problema economico causato dalla malattia e dalla cura già all’adesione alla sperimentazione correvano un rischio maggiore di peggioramento della qualità della vita. I pazienti che andavano incontro a tossicità finanziaria durante il trattamento correvano inoltre un rischio più alto di mortalità negli anni successivi. Certo, questo si verificava con una frequenza decisamente inferiore rispetto a quanto accade negli Usa, a testimonianza della validità del nostro servizio sanitario nazionale. Tuttavia, anche queste situazioni andrebbero evitate.”
Solo se si conosce la causa di una malattia si possono sviluppare terapie mirate per combatterla. Allo stesso modo, solo se si sa quali fattori determinano la tossicità finanziaria si possono prendere misure per ridurla o azzerarla. Ecco perché Perrone e colleghi hanno deciso di sviluppare un questionario specifico per la situazione sociale e sanitaria del nostro Paese, in grado di fornire informazioni su questi fattori. “È stato un percorso durato anni, basato sul confronto con vari gruppi di pazienti, ‘caregiver’, oncologi e altri operatori sanitari. Siamo arrivati infine a identificare sette domande le cui risposte permettono di costruire un punteggio che abbiamo definito FT-score, dove FT sta per financial toxicity (tossicità finanziaria)”. Le domande del PROFFIT sono relative per esempio alla capacità di sostenere le spese domestiche mensili senza difficoltà, o alla preoccupazione per problemi economici che si potrebbero avere in futuro a causa della malattia. A queste si aggiungono altre nove domande che non concorrono a misurare il disagio economico, ma permettono di identificarne i determinanti: per esempio, domande su spese sostenute per visite private, farmaci supplementari o integratori, cure integrative come fisioterapia o psicoterapia. O, ancora, sui costi di trasporto per raggiungere il centro di cura.
“Le risposte sui determinanti ci dicono quali sono i problemi sui quali dovremmo agire” commenta Perrone. “Se la situazione economica di un paziente peggiora per via delle spese per integratori di non dimostrata efficacia, bisognerà intervenire con una formazione adeguata al personale sanitario perché eviti la prescrizione di certi prodotti. Se il problema è la mancata comunicazione tra i vari medici che seguono un paziente in un centro (condizione che spesso spinge a spostarsi in altri centri), bisognerà proporre una formazione specifica su questo fronte. Se il disagio economico deriva dagli spostamenti sul territorio per raggiungere l’ospedale, bisognerà rendere più efficiente la medicina di prossimità. E così via.”
Per scelta del gruppo che ha sviluppato il questionario, PROFFIT non è protetto da brevetto. “È a disposizione della comunità scientifica, chiediamo solo di essere informati sull’utilizzo” dichiara Perrone. Che nel frattempo sta lavorando, con la sua équipe, alla traduzione e adattamento del questionario per la Gran Bretagna. E altri adattamenti saranno possibili per altri Paesi con sistemi sanitari pubblici.
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