Lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale del bambino nella prima infanzia
Dott.ssa Assunta Crimi ~ Psicologa Clinica
Pubblicazione – ANNO 7 N.65 GENNAIO 2024– ISSN: 2612/4947
La piu’ influente teoria dello sviluppo cognitivo nei primi anni di vita e’ quella di J. Piaget, secondo il quale, nel primo mese di vita i bambini non distinguono tra il se’ e il mondo esterno, non sono in grado di evocare oggetti od eventi non presenti attraverso il pensiero, ovvero non possiedono la funzione simbolica e sono privi delle fondamentali categorie che organizzano la percezione della realta’, ovvero oggetto, spazio, tempo, causa. Quest’ultime infatti si costruiscono gradualmente, attraverso degli stadi, di pari passo con la crescente differenziazione e coordinazione delle azioni che i bambini seguono. La stessa sequenza scandisce anche le tappe in cui si svilupperanno anche il gioco e l’imitazione. Al raggiungimento dello stadio finale, ovvero, intorno ai 18 mesi del bambino, emergerà la funzione simbolica. Nelle ricerche recenti pero’, cio’ che aveva affermato Piaget e’ stato criticato sostenendo che invece, alcune abilità sono presenti anche prima rispetto ai tempi indicati da Piaget, o forse sono addirittura innate.
Nella teoria di Piaget riscontriamo quattro stadi:
° Stadio sensomotorio: dalla nascita ai 2 anni circa. I bambini non sono capaci di evocare mentalmente oggetto ed eventi e le loro interazioni con l’ambiente si limitano a percezioni e azioni motorie guidati da schemi sensomotori, una sorta di piani d’azione che collegano percezioni e movimenti. Gli schemi d’azione, all’inizio molto elementari e privi di coordinamento reciproco, si coordinano progressivamente, rendendo possibile l’esecuzione di azioni sempre piu’ lunghe e complesse, per esempio dal prendere un oggetto e portarlo davanti agli occhi, al prendere uno sgabello, metterlo davanti la credenza e prendere i biscotti.
°Stadio preparatorio: dai 2 ai 7 anni. Grazie all’interazione delle azioni si formano degli schemi mentali che consentono di rappresentare mentalmente oggetti ed eventi, come testimoniano la comparsa e la fioritura di linguaggio, gioco di finzione e disegno. Tuttavia il pensiero dei bambini e la loro capacita’ di cooperare con gli altri trovano dei limiti, dovuto dall’egocentrismo intellettuale, ovvero dall’incapacita’ di differenziare il proprio punto di vista da quello degli altri.
° Stadio operativo concreto: dai 7 agli 11 anni. Molti dei limiti dello stadio precedente vengono superati grazie alla coordinazione degli schemi mentali in strutture d’insieme. Nell’interazione con i coetanei i bambini sanno cooperare in giochi che richiedono il rispetto di diverse regole. Possono ragionare in termini logici quando si trovano di fronte a problemi concreti e visibili, attraverso oggetti manipolabili.
° Stadio operatorio formale: dopo gli 11-12 anni. Rappresenta appunto la tappa piu’ avanzata dello sviluppo dell’intelligenza, nella quale e’ possibile risolvere non solo problemi presenti in forma verbale, ma anche quelli formulati in modo astratto.
Durante il primo anno di vita i bambini esibiscono diverse emozioni e mostrano, attraverso le loro reazioni, di comprendere quelli degli altri, infatti loro sorridono se qualcuno gli sorride, si rabbuiano o manifestano disagio se vedono volti tristi o inespressivi. Le emozioni degli altri diventano verso i 12 mesi, una fonte d’informazione su oggetti o situazioni sconosciute, un sorriso quindi diventa un invito ad esplorare o avvicinarsi, un’espressione spaventata segnala un pericolo, una di disgusto vuol dire che c’e’ qualcosa di sporco e non va toccata o messa in bocca. Quando, intorno ai 18 mesi, compare la coscienza di se’ e la capacita’ di riflettere su se stessi, il repertorio di emozioni si amplia e i bambini cominciamo a sperimentare imbarazzo, invidia, empatia. La valutazione delle proprie azioni come buone o cattive, e dei loro risultati conformi o meno alle aspettative, genera a secondo dei casi, orgoglio, senso di colpa o vergogna. Esistono differenze individuali nella tendenza a provare emozioni positive o negative con diversa frequenza ed intensità’, che si riscontrano gia’ nei primi mesi di vita, assieme ad altre dimensioni quali attenzione e livello di attività’. Queste dimensioni consentono di identificare vari tipi di temperamento che formano la base per il successivo sviluppo della personalità del bambino/adulto. Gli studi sulla comparsa di vari tipi di emozioni nella prima infanzia sono stati condotti con le piu’ diverse metodiche, che vanno dall’osservazione naturalistica a quella strutturata, alla rilevazione di indici fisiologici, come la frequenza cardiaca e la presenza di certi ormoni nel sangue. Al contrario, il riconoscimento delle espressioni emotive e le reazione da esse suscitate sono state investigati soprattutto mediante esperimenti, ma non mancano interessanti studi osservativi. Una condizione che ha favorito tutti questi studi e’ stata l’ideazione di uno strumento per identificare le espressioni nel volto degli infanti attraverso l’esame dei muscoli facciali coinvolti. Già nelle prime settimane di vita i bambini manifestano diverse espressioni facciali simili a quelle che negli adulti corrispondono a delle emozioni. Dapprima ciò avviene di rado e in situazioni ristrette, anche perchè i bambini trascorrono molto tempo addormentati o assopiti, la frequenza cambia e cresce man mano aumentano i periodi di veglia. Ci sono attualmente diverse teorie sulle emozioni e il loro sviluppo, che hanno alcuni aspetti in comuni e altri che le differenziano. Un certo accordo c’e’ sulle emozioni che sono dei processi che hanno inizio con degli eventi, che facilitano od ostacolano la realizzazione dei nostri obiettivi, esse comprendono degli stati di attivazione fisiologica, ci predispongo ad agire in certi modi e influiscono sui nostri processi cognitivi. C’e’ invece un notevole disaccordo sul modo in cui le emozioni si sviluppano. A questo proposito si distinguono la Teoria della differenziazione secondo la quale, i neonati provano solo una generica eccitazione. Una serie di emozioni distinte, come gioia, paura, tristezza, rabbia, emergendo successivamente man mano lo sviluppo cognitivo e quello sociale consentono al bambino di valutare gli eventi e di comprenderne sempre meglio le cause e le conseguenze. Dunque a questa premessa possiamo dire che lo sviluppo emotivo e’ subordinato a quello cognitivo. La Teoria differenziale invece distingue tra due tipi di emozioni quelle fondamentali e quelle complesse. Le prime chiamate anche basiche, primarie sono presenti anche negli animali, esistono già dalla nascita o compaiono nel primo anno di vita, man mano che maturano ed entrano in azione gli specifici circuiti neurali preposti a ciascuna di esse. Le seconde invece chiamate anche sociali, secondarie compaiono successivamente e sono presenti solo negli esseri umani. Secondo alcuni studiosi derivano dalla combinazione delle emozioni primarie, per altri invece hanno come base la coscienza di se’. La teoria differenziale contempla la possibilita’ di relazioni reciproche, o addirittura assegna un primato alle emozioni, che diventano cosi’ il motore di altre sfere dello sviluppo, come testimonia l’affermazione di Carrol Izard: “La percezione di una novità’ attiva l’interesse, l’interesse spinge all’esplorazione, l’esplorazione conduce alla sorpresa; le ulteriori esplorazioni, con il senso di familiarità’ e di padronanza che ne deriva, provocano la gioia”.
E. Tronick ha sottolineato come il bambino fin dai primi mesi di vita, sia in grado di regolare le proprie emozioni attraverso l’autoregolazione e l’eteroregolazione. Le competenze autoregolatorie sono comportamenti innati utili al bambino per modulare il proprio stato emotivo, spostamento dello sguardo, mano in bocca, grasping, esplorazione dell’ambiente. Queste però devono interagire con la funzione regolatori del genitore. L’eteroregolazione emotiva e’ costituita da tutti quei comportamenti che il caregiver mette in atto per regolare le emozioni del bambino. Nella diade madre-bambino si crea un modello di regolazione reciproca nel quale si alternano stati affettivi coordinati e stati affettivi non coordinati. Quest’ultimi rappresentano la rottura dell’interazione la cui riparazione puo’ portare a dei momenti nuovi di sapere condiviso, esplicito ed implicito. Secondo Tronick questo processo rende piu’ coerente e complesso, e lo definisce espansione diadica di coscienza. La madre per supportare adeguatamente lo sviluppo socio-emotivo del bambino deve essere responsiva in modo contingente, ovvero non essere nell’interazione ne’ intrusiva ne’ distaccata. La conoscenza relazionale implicita formata dall’interiorizzazione delle strategie di regolazione delle emozioni che si apprendono nell’esperienze interattive con le altre figure significative, e’ la base per lo strutturarsi delle strategie di attaccamento infantili e successivamente adulte.
I bambini sono inoltre orientati fin dalla nascita, all’interazione con gli altri esseri umani, e nel corso di alcuni mesi manifestano una predilezione particolare, ovvero un attaccamento, nei confronti di una persona che solitamente e’ la madre. Molti studiosi sostengono che la prima relazione d’attaccamento abbia influenze durature e pervasive sulla personalità’ del bambino, e hanno ideato vari strumenti e procedure per misurare l’attaccamento a diversi livelli di eta’. Oltre che con la madre, i bambini sviluppano rapporti d’attaccamento anche con il padre e tutte le altre figure familiari, nonni, zii, cugini ecc., se i bambini vanno al nido instaureranno un rapporto d’attaccamento anche con le educatrici.
Le interazioni che il bambino ha con la madre nel corso dello sviluppo diventano delle rappresentazioni mentali contenenti percezioni, sensazioni, affetti, azioni e scopi che saranno immagazzinati nella memoria procedurale , ovvero quella memoria automatica e non consapevole. Queste memorie Stern le definisce Rappresentazioni Interne Generalizzate RIG, e sono prototipiche delle relazioni del soggetto con l’altro e contengono tutti gli attributi essenziali dell’esperienza soggettiva dei momenti vissuti nell’interazione. I modelli di se’ con l’altro si creano fin dai primi mesi di vita, vengono cosi’ immagazzinati nella memoria procedurale e successivamente vengono generalizzati alle relazioni successive. I ricercatori dell’infant research hanno chiamato questo tipo di memoria procedurale affettiva basata sullo stare con gli altri, conoscenza relazionale implicita. Quest’ultima e’ preverbale ed e’ alla base per il formarsi dei modelli operativi interni dell’attaccamento che si sviluppano alla fine del primo anno del bambino. Come ha sottolineato sempre lo psicologo britannico J. Bowlby nei suoi studi sull’attaccamento, evidenzia proprio la necessità’ di una madre che sorrida, parli, accarezzi e soprattutto sia in grado di trasmettere serenità’ al proprio bambino.
Fino al primo anno di eta’, i bambini non possiedono le abilità cognitive e sociali per interagire con i coetanei; esse cresceranno rapidamente durante il secondo anno, quando iniziano infatti i primi giochi in coppia o in piccoli gruppi.
Affinche’ ci sia un comportamento di attaccamento, i bambini devono distinguere le persone che sono attorno a loro, formare una preferenza per uno o piu’ figure e disporre dei mezzi per farle avvicinare e mantenersi vicine attraverso comportamenti di segnalazione, come il pianto, sorriso, o lallazione; oppure avvicinarsi loro stessi, attraverso comportamenti di avvicinamento come muoversi a gattoni, camminare, aggrapparsi. Il legame di attaccamento si instaura gradualmente attraverso un processo in cui sono distinguibili varie fasi:
- Preattaccamento: da 0 a 3 mesi. L’infante manifesta un interesse per la voce e per il volto umano, senza distinguere ancora una persona da un’altra, e mette in atto una serie di comportamenti di richiamo per provocare l’avvicinamento delle persone e mantengono la vicinanza;
- Attaccamento in formazione: da 3 a 8 mesi. I bambini continuano a manifestare interesse per le persone e piacere nell’interazione con esse. Le loro reazioni sono più intense nei confronti della madre e dei familiari, sorridono più spesso e smettono di piangere se a consolarli e’ la madre piuttosto che un estraneo. Tuttavia ancora, in questa fase se la madre si allontana il bambino non manifesta segni di sofferenza, nè di protesta.
- Attaccamento vero e proprio: da 8 mesi a 2/3 anni. Con l’inizio della locomozione i bambini cominciano ad esplorare l’ambiente e hanno dei mezzi più efficaci per mantenere la vicinanza con la madre. Quando e’ presente, infatti il bambino la usa come base sicura per le proprie esplorazioni. Se invece la madre si allontana, i bambini smettono di esplorare l’ambiente o di giocare per chiamarla o andare alla sua ricerca, mostrando anche segni di sofferenza, definita ansia da separazione. A questa eta’ la reazione nei confronti degli estranei e’ diversa rispetto alla precedente fase, subentra infatti una diffidenza che puo’ rapidamente trasformarsi in un pianto a dirotto e una resistenza disperata, ovvero l’angoscia o paura dell’estraneo, se un estraneo o una persona poco familiare si avvicini troppo o cerchi di prenderlo in braccio.
- Formazione di un rapporto reciproco: da 3 anni in poi. I progressi nella sfera cognitiva e linguistica consentono ai bambini di arricchire la propria rappresentazione delle figure di attaccamento con delle idee sempre più elaborate sui loro pensieri e desideri. Questi progressi offrono nuovi mezzi per mantenere la vicinanza, come le richieste verbali, minacce, negoziazioni, tentativi di persuasione, azioni volte ad influire sugli stati mentali della figura di attaccamento e che fanno passare in secondo piano richiami e movimenti di avvicinamento.
Ulteriori sviluppi dell’attaccamento, si possono costatare nel momento in cui il bambino avra’ la capacita’ di capire i motivi dell’allontanamento della madre, questo lo rende piu’ accettabile e consente di prevederne la durata della sua assenza e di poterne raffigurare il ritorno. Con il procedere dell’eta’ aumenta la tolleranza alle brevi separazioni. La distanza di sicurezza aumenta, la paura degli estranei tende a diminuire, e invece aumenta la disponibilita’ ad restaurare rapporti di attaccamento con altre figure come parenti amici ed insegnati. L’esito dello sviluppo dell’attaccamento infantile e’ dato da tutti quei comportamenti che un bambino mette in atto per ricercare la vicinanza del genitore con il fine di essere accudito, e’ indipendente dai comportamenti per soddisfare i bisogni fisici di base. In virtu’ degli studi elaborati con il paradigma sperimentale della Strange Situation effettuati da Mary D.S. Ainsworth è stato possibile costatare l’esistenza di differenti pattern di attaccamento o modelli operativi interni di attaccamento, MOI. Le tre tipologie di attaccamento individuate nel bambino grazie all’esperimento sopra indicato sono: attaccamento Sicuro, Insicuro evitante e Insicuro resistente/ambivalente. Questi pattern di attaccamento sono rappresentati dalle strategie del bambino che attua per riuscire a contenere una vicinanza emotiva con il caregiver. Queste strategie sono sempre influenzate dalla disponibilita’, sensibilita’ e responsivita’ emotiva della figura di riferimento. Nel corso dello sviluppo l’attaccamento insicuro infantile e’ associato alla difficolta’ etero e auto regolatrice delle emozioni. Ricerche successive hanno individuato un nuovo pattern di attaccamento piu’ raro e piu’ disfunzionale, ovvero l’attaccamento Disorientato-disorganizzato, che implica lo sgretolamento delle strategie di attaccamento del bambino. Infatti, quest’ultimo non e’ capace di costruire nella relazione con il caregiver una strategia comportamentale unitaria ed adeguata per attivare sia la sua richiesta di attaccamento sia la risposta dell’altro.
La disorganizzazione dell’attaccamento infantile deriva dal fatto che il bambino percepisce il suo genitore come contraddittorio, in quanto contemporaneamente e’ colui che dovrebbe consolarlo ma anche fonte di tremenda paura. Questa situazione viene definita il paradosso fondamentale. I genitori di bambini con attaccamento disorganizzato sono solitamente spaventati o spaventanti nell’interazione con il proprio bambino, e la loro mente e’ ancora legata a ricordi e vissuti traumatici, come lutti, gravi incidenti, gravi malattie, maltrattamenti, violenze, abusi vissuti o subiti, esperienze che probabilmente non sono state elaborate.
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